Auschwitz: il campo di sterminio nazista più conosciuto. In un luogo e in una situazione così estrema era concesso essere felici?


Auschwitz: possiamo malapena immaginare che cosa sia accaduto in quel luogo. Gli abusi, le torture atroci, la degradazione umana, i decessi per malattia, la fame e le camere a gas.

Viktor Frankl

Viktor Frankl era uno psichiatra ebreo che sopravvisse agli orrori di Auschwitz. La sua esperienza è stata raccontata nel libro “Uno psicologo nei Lager”. Una rivelazione affascinante di questo libro è che a sopravvivere non erano i più forti fisicamente, ma le persone in maggior contatto con i propri valori. I prigionieri trovavano qualcosa per cui vivere, qualcosa che li spronasse ad andare avanti. Chi non ci riusciva perdeva la volontà di vivere e, di conseguenza, la vita.

I valori come senso di vita

Uno dei valori di Frankl era aiutare gli altri. Durante tutto il tempo trascorso nei campi di concentramento, aiutò i prigionieri a sopportare le loro sofferenze. Li ascoltava, rivolgeva loro parole gentili e incoraggianti, li accudiva. E li aiutava a entrare in contatto con i loro valori per dare un senso alla loro esistenza e sopravvivere.

Frankl racconta che una volta stava per arrendersi. C’erano -20 C°, era costretto a camminare con delle scarpe aperte. Aveva i piedi ormai congelati, era stremato. Negli ultimi due giorni aveva mangiato un pezzo di pane, non ce la faceva più, aveva voglia di arrendersi, di buttarsi per terra e lasciarsi morire. In quel momento iniziò a parlare con sua moglie, come se lei fosse lì. Iniziò a parlarle, a raccontarle dei tempi che avevano trascorso insieme. Creò un legame con una persona che in quel momento non era lì e lui non sapeva neanche che quella stessa persona era morta. L’avrebbe scoperto tre anni dopo l’uscita dal campo di concentramento.

In quel caso il senso della vita era l’amore per qualcosa di bello anche in una situazione in cui di bello non c’è nulla. Questa è soltanto una delle tante ragioni che noi possiamo trovare alla vita, ma ce ne sono alcune che sono anche più pratiche e comuni.

Il senso della vita come arte ad Auschwitz

Un giorno tornarono nella baracca, erano tutti affamati e disperati. Le guardie avevano deciso di punirli e quindi quella sera non avrebbero mangiato e sarebbero stati al buio e al freddo tutta la notte, finché non accadde qualcosa di inaspettato. Uno di loro prese una sedia, ci salì in piedi e iniziò a cantare. Tutti loro scoppiarono a piangere, perché in quel momento il senso della vita era una forma d’arte: qualcuno che cantava. In altre situazioni era qualcuno che si metteva a raccontare una barzelletta, in quel caso il senso della vita era l’umorismo.

Frankl stesso sostiene di essere riuscito a sopravvivere perché aveva un motivo che può sembrare superficiale ma non lo è. Al di là dell’amore e del desiderio di rivedere i suoi familiari, poco prima di essere deportato lui aveva concluso un libro, teneva così tanto a questo libro, un manuale sulla psicologia, che aveva deciso di nasconderlo in una tasca cucita all’interno della sua giacca.

Quando poi arrivò ad Auschwitz pregò le guardie di non distruggere quel manoscritto, ovviamente loro lo fecero a pezzi. In quel momento di disperazione totale, in cui vide anni di lavoro scomparire davanti ai suoi occhi, vide anche una motivazione per andare avanti. Si disse: “Io da qui uscirò vivo perché quel libro l’ho iniziato e lo voglio vedere pubblicato”. Allora scrisse degli appunti su vari pezzi di carta che recuperava in giro e una volta liberato lo riscrisse da capo e lo pubblicò, in quel momento, quello era il senso della sua vita.

Andare via o rimanere ad Auschwitz?

In un’altra situazione ebbe l’occasione di scappare dal campo di concentramento. Le guardie avevano chiesto a lui, che era medico e che si occupava dei malati presenti e al suo assistente, di portare fuori dei cadaveri. Il suo assistente gli propose di scappare nei boschi quando avrebbero portato fuori l’ultimo cadavere.

Si prepararono, lui entrò per l’ultima volta nella baracca in cui c’erano tutti i malati, osservò i loro sguardi e vide come quelle persone vedevano in lui l’unica forma di speranza di vita. Uscì dal campo di concentramento, posarono il cadavere, il suo assistente disse di andare, ma Frankl rispose: ”Non lo posso fare, devo tornare dentro”. Perciò si rimise a curare tutti i malati per tutta la notte e nonostante avesse scelto di tornare all’inferno si ritrovò a sentirsi tranquillo. Aveva trovato il suo angolo di paradiso anche nell’inferno.


La libertà di scegliere

Frankl dimostra come, persino in un campo di concentramento nazista, ogni persona ha la possibilità di scegliere. Racconta di nazisti che, a volte, sceglievano di usare la gentilezza nei confronti dei prigionieri ebrei. Per esempio, parla di una guardia che, correndo un grosso rischio personale, gli diede di nascosto un pezzo di pane.

“Non fu tanto quel boccone di pane a commuovermi fino alle lacrime, ma quel qualcosa di umano che l’uomo mi aveva trasmesso, la parola umana e lo sguardo umano che accompagnavano il dono.”

Viktor Frankl

Il messaggio di Frankl è chiaro: anche nelle circostanze più estreme è possibile scegliere.

“A un uomo si può togliere tutto, tranne l’ultima libertà umana: la possibilità di scegliere, in ogni circostanza, la persona che si desidera essere.”

Chi è l’uomo?

Frankl, come nessun altro, ha conosciuto l’essenza dell’uomo. Nei campi di concentramento, l’uomo veniva spogliato di ogni cosa che si era costruito nella vita e che aveva ottenuto: denaro, fama, felicità, potere.

Era un luogo in cui esisteva unicamente l’uomo nella sua più genuina essenza. L’uomo era e basta, senza avere nient’altro. L’uomo potremmo definirlo come un essere che ha sempre la possibilità di decidere ciò che è. È colui che fece costruire le camere a gas, ma è anche lo stesso che ci entrò a fronte alta.

Le domande senza risposta

Forse è stato il pessimismo e la disperazione a spegnere il desiderio di vivere di tanti prigionieri. O forse è una domanda che oscillava nelle loro menti:

“Perché è potuto accadere tutto questo? Perché abbiamo dovuto soffrire?”

Magari la risposta non esiste, perché dipende da noi. Dipende da ciò che decidiamo. Infatti, dobbiamo scegliere per chi o per che cosa vale la pena vivere, soffrire o addirittura morire.

La felicità è una scelta?

Adesso la domanda sorge spontanea. Se abbiamo la possibilità di scegliere, in ogni circostanza, la persona che desideriamo essere, la felicità è una scelta?

Fonti: La trappola della felicità, Uno psicologo nei lager, Come trovare la propria strada | Gianluca Gotto al Markerters World